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5 lezioni da TEDAI Vienna: l’AI non sostituisce l’umano, lo potenzia

Di Chiara Arlati
5 lezioni da TEDAI Vienna: l’AI non sostituisce l’umano, lo potenzia

✨ La scorsa settimana ho avuto l’onore di partecipare a TEDAI Vienna, un evento TED Conferences Original, solo su invito, che da spazio a idee capaci di far cambiare prospettiva.

Mi porto a casa 5 riflessioni che mi hanno colpita:

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1️⃣ “What I cannot create, I cannot understand.”

Oriol Vinyals di Google DeepMind ha ricordato perché sono nati i primi progetti di AI.

Il punto di partenza non era costruire macchine “più smart”, ma comprendere meglio cosa significhi pensare come umani.

L’AI diventa così uno specchio che ci rimanda domande radicali: chi siamo, cosa vuol dire creare, come nasce l’intelligenza?

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2️⃣ Sopravvalutiamo la velocità ma sottovalutiamo l’impatto.

La storia delle tecnologie (Amara’s Law) ci insegna che tendiamo a immaginare un cambiamento immediato… e a dimenticare che i veri stravolgimenti arrivano nel lungo periodo.

Se oggi corriamo dietro all’hype, rischiamo di perderci il punto: l’IA non cambierà tutto domani, ma ridisegnerà in profondità le nostre vite nei prossimi decenni.

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3️⃣ Da “Assistant” a “Tool for Thought”.

Advait Sarkar (Microsoft Research) ci ha provocati con una domanda semplice ma potente: vogliamo davvero che l’AI sia solo un assistente che accelera i compiti?

Nel suo talk TED ha spiegato che il vero salto è quando diventa un partner di pensiero, capace di aiutarci a formulare domande, alzare la qualità del nostro lavoro ed esplorare l’ignoto.

L’AI non deve obbedire: deve stimolarci.

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4️⃣ Bold Questions.

Lukasz Kaiser (OpenAI) ha ribadito che il progresso non nasce dalle risposte, ma dalle domande coraggiose.

Un concetto che riecheggia anche nelle parole di Demis Hassabis (DeepMind) in diverse interviste: la capacità umana di porre domande significative è qualcosa che non verrà mai sostituito dalle macchine.

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5️⃣ Che cos’è una Good Life?

Il dialogo tra la filosofa Pia Lauritzen, PhD e la dottoressa Eva Katharina Masel, medico nelle cure palliative, ci ha portati al cuore della questione.

Non basta avere più tempo o maggiore efficienza: è arrivato il momento di chiederci cosa significhi davvero vivere bene.

Se l’AI ci restituisce tempo, lo investiamo nelle passioni, nelle relazioni, nella ricerca di senso? Oppure rischiamo di ricadere nella spirale di un mondo malato di continua performance?

È questa la domanda più scomoda — e più urgente — che dobbiamo affrontare.

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💡 Da Vienna mi porto via questa convinzione: il futuro dell’IA non è nel sostituire, ma nel potenziare l’umano.

Una danza tra mente e macchina che ci chiede più responsabilità, più coraggio e soprattutto più cura.

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