Ogni volta che parli con l’AI, non stai solo chiedendo qualcosa. Stai rivelando chi sei.
__
Mentre l’AI diventa più “umana” nel linguaggio e si ricorda le nostre interazioni, noi diventiamo più trasparenti nelle nostre conversazioni con lei.
Abbassiamo la guardia. Ci fidiamo. Parliamo.
📍Sam Altman, CEO di OpenAI, lo ha detto chiaramente qualche tempo fa:
__
“Le conversazioni con ChatGPT non sono private.”
__
Non servono hacker o violazioni per perdere il controllo delle informazioni: basta la nostra leggerezza.
Ogni volta che scriviamo, stiamo regalando un pezzo della nostra identità digitale a un sistema che non dimentica e non distingue tra confidenza e dato.
💡 la prima considerazione è questa:
👉 stiamo esponendo noi stessi molto più di quanto immaginiamo.
Non serve che l’AI ci rubi qualcosa — gliela stiamo già offrendo, spesso senza settare la privacy correttamente.
__
Ma ce n’è una seconda, altrettanto importante, che genera un paradosso:
👉 Se usiamo l’AI senza la nostra identità, non otteniamo ciò che vogliamo.
Perché senza contesto umano, l’AI non performa, ci offre risposte mediocri.
È quando le diamo accesso alla nostra conoscenza, al linguaggio del brand, alla cultura organizzativa, che diventa uno partner di pensiero.
Non a caso qualche giorno fa GPT ha lanciato per le aziende la funzione Company Knowledge per permettere a ChatGPT FI ottenere tantissime informazioni aziendali senza dover inserire link nella conversazione o spiegare più volte il contesto.
__
Personalmente trovo utile la frase di Todd McKinnon , CEO di Okta:
“AI security is identity security.”
E non è solo una frase brillante.
È una direzione.
__
Oggi tutti corrono verso l’AI per non restare indietro.
Ma la velocità non è progresso.
Senza consapevolezza, è esposizione.
Il futuro non premierà chi adotta l’AI più in fretta,
ma chi saprà usarla senza dimenticare chi è.
__
👉 Perché con l’AI non stiamo solo parlando a una macchina.
Stiamo parlando di noi.