L’AI sta trasformando la memoria umana: ricordiamo meno i contenuti e più dove trovarli, spostiamo ricordi su strumenti esterni, privilegiamo il “saper usare” rispetto al “sapere”, e affidiamo parte della memoria a sistemi collaborativi ma fragili. La sfida è decidere cosa vogliamo continuare a ricordare come esseri umani… e cosa costruire insieme alle macchine.
Secondo il report BCG, a fare la differenza nei progetti di AI non è la tecnologia, ma le convinzioni: aziende che ridisegnano i processi da zero, formano persone come architetti del cambiamento e accettano il disagio dell’innovazione. L’AI amplifica ciò che esiste: competenze o caos. Servono mindset e cultura pronti a trasformarsi davvero.
Il “nostalgia effect” per GPT-4o non è follia: il cervello crea legami con le AI conversazionali perché simulano presenza, attivano dopamina e diventano strumenti di pensiero. Senza consapevolezza, questo legame può portare a dipendenze cognitive e deleghe automatiche. Serve parlarne ora, prima che le persone si fidino più dell’AI che di se stesse.
In molti parlano di adozione della tecnologia. Noi la rendiamo naturale. Semplice. Fluida. Intelligente.
